mercoledì 28 gennaio 2009
Blatta di Alberto Ponticelli (recensione)
Blatta di Alberto Ponticelli è il sogno nero di un'umanità che conquista l'immortalità al prezzo del libero arbitrio e dei rapporti interpersonali. Gli uomini indossano scafandri da palombari, che li allontanano da loro stessi prima ancora che dai loro simili, e si chiudono per sempre in piccoli gusci dove praticano in totale solitudine le uniche attività loro concesse: mangiare, dormire e lavorare.
Dal punto di vista del protagonista Blatta non è un fumetto distopico (almeno all'inizio). Per avere il privilegio di perpetuare la sua vita all'infinito grazie alla clonazione, il palombaro ha accettato di buon grado la rinuncia alla procreazione, i sacrifici di un eremitaggio tecnologico e la perdita della famiglia (che nei suoi ricordi allucinati e lontani - ormai si è reincarnato per la quinta volta - è diventata un uxoricidio richiesto da una pubblica amministrazione rappresentata da un clown e da Topolino). Lo Stato non è un Moloch pronto a immolare i cittadini per garantire la propria esistenza a qualunque costo, ma un organismo che ha come fine la costruzione di una società ideale nella quale i suoi palombari possano raggiungere la felicità.
Blatta quindi sarebbe il fallimento dell'utopia. Fallimento che non è dovuto agli impedimenti di uno Stato dispotico ma all'incapacità dell'uomo di essere felice. Il palombaro, mentre sta vivendo la quinta clonazione nella sua tana buia e microscopica, rimpiange il passato in cui era padre e marito. Successivamente, quando riassapora la gioia della luce e degli spazi aperti e ha la possibilità di formare nuovamente una famiglia, si rammarica (per usare un eufemismo) di avere perso la sua monotona ma sicura esistenza di blatta. L'immortalità diventa un circolo vizioso di rimpianti e una caccia continua a qualcosa che scivola dalle mani ogni volta che viene afferrata.
L'angosciante condizione infelice del palombaro di cui parla Ponticelli a livello narrativo è accompagnata dall'angoscia trasmessa a livello grafico.
La prima parte del fumetto, che si apre con una soggettiva su una stanza quasi completamente buia, è dominata dal nero e dai toni di grigio. Il bianco viene utilizzato solo per colorare lo schermo del computer e una luce al neon, accrescendo per contrasto l'oscurità che sta attorno.
Nella seconda parte, subito dopo la sequenza lunghissima ambientata esclusivamente in stanze buie e minuscole, l'agorafobia prende il posto della claustrofobia. Il palombaro, abituato all'isolamento e all'oscurità, rimane quasi accecato quando rivede la luce del sole, mostrata in una doppia splash page che ancora una volta è in soggettiva.
L'inquadratura soggettiva non è l'unico strumento per incoraggiare l'identificazione del lettore con il palombaro. Il suo punto di vista e il suo stato d'animo acquisiscono centralità anche grazie all'uso delle didascalie. Tutti i testi del fumetto sono infatti didascalie di pensiero (sempre del palombaro) letterati in stile dattiloscritto e con errori di lettering per sottolineare la perdita di umanità e di stimoli da parte del personaggio.
Non si può scrivere un articolo su Blatta senza parlare della misteriosa valigetta che serve al palombaro per uscire dai momenti di difficoltà. Contiene davvero qualcosa di utile oppure è un MacGuffin? E se contine qualcosa, di cosa si tratta?
Ponticelli non dà risposte, però nell'ultima tavola del fumetto mostra la stanza del palombaro vuota e la valigetta aperta. Cos'è successo?
Non so come la pensate voi, ma la mia sospensione dell'incredulità mi fa accettare senza problemi che in un fumetto gli uomini vivano perennemente isolati in case-alveare, siano costretti a indossare tute da palombaro e vivano in eterno grazie alla clonazione. Quella stessa sospensione dell'incredulità scricchiola quando, nello stesso fumetto, un clown e un tipo simile a Topolino chiedono al protagonista, in qualità di funzionari della pubblica amministrazione, di uccidere moglie e figli. Come detto in precedenza ho interpretato l'omicidio come un ricordo distorto e allucinato dietro al quale non c'è un vero omicidio ma solo il trauma della separazione.
Ora mi chiedo (e la domanda va presa con pantagruelico benficio d'inventario): e se invece l'omicidio della famiglia, fra tutte le cose raccontate in Blatta, fosse l'unico fatto accaduto realmente e la valigia fosse l'interruttore che, una volta schiacciato, fa affiorare nella mente del Palombaro quello che è accaduto?
Perdonatemi per la parentesi ignorantissima sulla valigetta (dubito che l'interpretazione sia corretta ma mi andava di scriverla).
Forse facevo meglio a citare Alex Crippa:
"E il Finale...bè, meglio di così non poteva essere sia a livello narrativo che concettuale: struttura ciclica con sorpresa. E con l'uso forse più intelligente visto negli ultimi anni della valigetta "Mc Guffin" (Hitchcock > Pulp Fiction > Ronin, il film) semplicemente perchè...non è un Mc Guffin. Il nostro immaginario lo richiama ma no, la valigetta blattiana non è la scusa attorno cui far ruotare la storia."
In precedenza ho scritto che dal punto di vista del protagonista Blatta non è un fumetto distopico (o forse è meglio dire che non lo è dal principio ma a un certo punto lo diventa), però non c'è solo il suo punto di vista.
L'alveare visto dall'esterno ricorda molto la metafora della polis come corpo umano, con i tubi di trasporto dei palombari che assomigliano a fasci di vene e nervi. E di fronte a una visione del genere l'alternativa fra dentro e fuori cade: l'unica opzione, quando lo Stato ha adottato il progetto immortalità, non poteva essere che aderire o soccombere.
E' probabile che se ne accorga anche il palombaro quando si suicida ma lo Stato va contro la sua volontà e lo reincarna per la sesta volta.
Tutto questo mi porta alla seconda interpretazione della valigetta:
"Ci sono a Venezia tre luoghi magici e nascosti. Uno in Calle dell’Amor degli Amici, un secondo vicino al Ponte delle Maravege, il terzo in Calle dei Marrani nei pressi di San Geremia in Ghetto Vecchio. Quando i veneziani sono stanchi delle autorità costituite, vanno in questi tre luoghi segreti e aprendo le porte che stanno nel fondo di quelle calli se ne vanno per sempre in posti bellissimi e in altre storie…" [da Corte sconta detta arcana di Hugo Pratt]
In Blatta è una valigia.
Blatta
scritto e disegnato da Alberto Ponticelli
Leopoldo Bloom Editore
brossurato, b/n, 144 pagine
15 euro
Ringraziamenti: www.libroteka.it
Il blog di Alberto Ponticelli
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Bellissima recensione!
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