domenica 24 gennaio 2010
Gatti neri, tele bianche. Articolo su Cages di Dave McKean
Su Fumo di China n. 177 c'è un mio articolo su Cages di Dave McKean intitolato Gatti neri, tele bianche.
La prima parte:
"Cages di Dave McKean è un battito del cuore dell'Universo. Nel fumetto l'intervallo fra l'inizio e la fine della pulsazione è scandito da una miriade di episodi a volte lineari e a volte criptici nei quali l’artista inglese infonde un’idea di arte legata a doppio filo con la metafisica.
L’incipit di Cages è un racconto in prosa dal sapore biblico, una fiaba nella quale riecheggia la creazione della Terra raccontata nella Genesi. Sembra che, attraverso la rievocazione dell’episodio della Bibbia, McKean suggerisca che l’opera d’arte possa essere vista come una metafora della creazione: come Dio, partendo dal nulla, ha creato l’Universo, così l’artista, partendo dalla tela bianca, crea il quadro.
In realtà questo tipo di approccio viene scartato dall’autore che, nel primo capitolo, fa ripetere al protagonista, il pittore di nome Sebarsky, alcune parole del racconto in prosa narrato nell’incipit: “Lei grattò via quei frammenti e ne fece una pallina di fango. ‘Questo’, disse, ‘è il Mondo’”. Il pittore le commenta dicendo: “Era un inizio. Genere ricomincio da capo”. Vale a dire che bisogna accantonare l’ipotesi del creazionismo e ricominciare da capo; la concezione metafisica alla base di Cages infatti è di tutt’altro tipo.
Il rigetto del creazionismo è rimarcato, sempre nel primo capitolo, anche nella sequenza in cui il ragazzo ritardato afferma che “Dio ci dà la chiave per capire”. Non è vero: il personaggio cerca la chiave in tasca ma non la trova. La chiave che dà la spiegazione non c’è.
McKean non ha interesse a fare un discorso di tipo divulgativo perché stonerebbe in una riflessione che, pur avendo alle spalle una ricerca solida e vitale, è espressa con il linguaggio dell’arte. L’autore preferisce accompagnare i lettori fino alla soglia di quella gabbia metafisica che è Cages, lasciando loro la facoltà di oltrepassarla ma evitando con cura di imprigionarli. Cages non è una prigione per il lettore perché le maglie della gabbia sono sufficientemente larghe da permettergli di uscire dopo avere attraversato tutta l’opera, come fa il gatto nero nella tavola conclusiva." [continua]
Il titolo è di Francesco Matteuzzi (e infatti è la parte migliore dell'articolo...).
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