martedì 13 luglio 2010

La dialettica classica in The Mystery Play di Grant Morrison e Jon J Muth (paragrafi 1 e 2)


La dialettica classica in The Mystery Play di Grant Morrison e Jon J Muth.
1. The Mystery Play
2. Il concetto di dialettica

1. The Mystery Play
The Mystery Play, conosciuto in Italia con il titolo Il mistero di Dio, è un fumetto di Grant Morrison e Jon J Muth pubblicato nel 1994 dalla linea Vertigo della casa editrice DC Comics.
The Mystery Play si apre con una rappresentazione teatrale della Creazione ad opera di un Dio riconducibile alla classica iconografia del Signore antropomorfo, anziano e barbuto. Dopo avere scagliato Lucifero negli Inferi e infuso la vita in Adamo e Eva, Dio esce dal palcoscenico per dare spazio alla scena dell’assaggio della mela proibita. Dietro le quinte, lontano dagli occhi degli spettatori, l’attore che interpreta Dio viene assassinato con una coltellata; è l’inizio di un giallo metafisico nel quale le indagini sono condotte dal detective Frank Carpenter, un uomo che al termine del fumetto si scoprirà essere un pedofilo omicida evaso da un manicomio.
Lo status di racconto giallo sta stretto a The Mystery Play, dal momento che Morrison si allontana dai canoni della letteratura di genere e sfrutta il tema della ricerca del colpevole per ricamare una serie di metafore che sottintendono una ricerca di tipo filosofico.

2. Il concetto di dialettica
La dialettica, a differenza del sillogismo scientifico che consiste nel trarre conseguenza logiche da un enunciato accettato in precedenza, è l’esame di una proposizione presa per sé, cioè non legata per mezzo della deduzione a una catena di altre proposizioni.
La dialettica si pone, in primo luogo, come metodo confutatorio. Fondamento della dialettica come disciplina confutatoria è il principio di non contraddizione formulato da Aristotele nella Metafisica: “E’ impossibile che un predicato inerisca e non inerisca allo stesso soggetto nel medesimo tempo e sotto il medesimo riguardo”.
Il principio, con l’incipit “E’ impossibile”, si pone innanzitutto come criterio per individuare le proposizioni non vere. “Qualora infatti si mostri che da una proposizione qualsiasi si possano inferire conseguenze diverse e tra loro contraddittorie, in forza del principio di non contraddizione la proposizione in esame va respinta come insignificante, incapace di dire alcunché di possibile” (1)
Ci sono casi in cui la funzione della dialettica, da confutatoria, diventa costruttiva. Si può infatti giungere alla scoperta di affermazioni vere e indubitabili attraverso l’accostamento di proposizioni antitetiche. Può accadere che, dimostrando che un’opinione è falsa, si possa trarre la conseguenza che la proposizione opposta è vera.

Proprio l’esistenza della verità è oggetto di un discorso dialettico.
Nel Teeteto di Platone, un dialogo che ha come temi la scienza e il grado di verità delle opinioni, viene esaminata un’affermazione di Protagora secondo la quale “L’uomo è misura di tutte le cose”.
Quando, fra te e te, esprimi un giudizio su qualcosa e manifesti di fronte a me un’opinione a riguardo, secondo il ragionamento di Protagora, questa opinione, per te, è vera, ammettiamolo pure; ma noi, gli altri, non possiamo forse divenire giudici del tuo giudizio, oppure dobbiamo affermare che esprimi sempre opinioni vere? (…)
Protagora, concordando sul fatto che tutti pensano ciò che è, ammette, a quanto pare, che, riguardo alla propria convinzione, sia vera la convinzione di coloro che hanno opinioni a lui contrarie; quella cioè in base alla quale essi ritengono che lui pensi il falso.
(…) Ma allora non finisce con l’ammettere che la propria convinzione sia falsa, se concorda sul fatto che sia vera quella di chi ritiene che sia lui a pensare il falso?
(…) Egli, tuttavia, in base a quanto ha scritto, concorda sul fatto che anche questa opinione è vera.
(…) Dal momento che viene contestata da ogni parte, dunque, la Verità di Protagora rischia di non essere vera per nessuno, né per qualcun altro né per lui stesso.” (2)

Aristotele riprese il ragionamento contenuto nel dialogo platonico esaminando anche il caso di chi dice che tutto è falso:
(…) Chi dice che tutto è vero, viene ad affermare come non vera anche la tesi opposta alla sua; dal che consegue che la sua non è vera (dato che l’avversario dice che la tesi di lui non è vera). E colui che dice che tutto è falso, viene a dire che è falsa anche la tesi che egli stesso afferma.” (3)

Sei secoli più tardi Agostino d’Ippona si basò sulla seconda parte del testo aristotelico (“E colui che dice che tutto è falso, viene a dire che è falsa anche la tesi che egli stesso afferma”) per formulare questo discorso dialettico:
Chiunque comprende di essere in dubbio vede una cosa sicura della quale è certo, dunque egli è certo del vero. Pertanto chiunque dubita se la verità esista, ha in sé alcunché di vero di cui non può dubitare: ora il vero non è tale se non in forza della verità. E’ necessario dunque che più non dubiti della verità chi ha potuto in qualche modo dubitare.” (4)
La frase “La verità esiste” implica l’esistenza della verità. Cosa succede se affermo che “La verità non esiste”? Attraverso questa seconda frase sto affermando l’esistenza di una verità: la non esistenza della verità. La non esistenza della verità è essa stessa una verità. Di conseguenza la verità esiste da un lato perché posso affermarlo (“La verità esiste”) e dall’altro lato perché non posso negarlo (“La verità non esiste” è un’affermazione assurda).

Da un’altra angolazione si può affermare che lo scetticismo consiste nel ritenere che nulla possa essere oggetto di conoscenza, e di conseguenza qualunque affermazione possa essere contraddetta per mezzo della retorica. Ma affermare che “Nulla può essere oggetto di conoscenza” non è essa stessa un’affermazione certa e salda?

Clicca qua per leggere il terzo paragrafo dell'articolo.

(1) Francesco Cavalla, Note sulla concezione classica di: dialettica, vero, immortale, in Ontologia e fenomenologia del giuridico. Studi in onore di Sergio Cotta, Giappichelli, Torino, 1995, pag. 105.
(2) Platone, Teeteto, 171a. Traduzione: Platone, Teeteto, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1994, pag. 113, trad. it. Luca Antonelli.
(3) Aristotele, Metafisica, 1012b, 15. Traduzione: Giovanni Reale, Metafisica di Aristotele, Bompiani, Milano, 2004, pag. 183.
(4) Agostino, De vera religione.

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