domenica 3 novembre 2024

Kraven the Hunter - Hunting the Hunter

 


Kraven the Hunter - Hunting the Hunter
Testi: J.M. DeMatteis
Disegni: Max Fiumara, Emma Rios
Storia di 40 pagine pubblicata a puntate in appendice a The Amazing Spider-Man n. 634-637
Marvel, 2010

Nel 2010 lo sceneggiatore J.M. DeMatteis ritornò sulle tracce de L'Ultima caccia di Kraven, una delle sue opere più note e apprezzate, riprendendo in mano non solo il personaggio di Kraven il cacciatore, ma anche alcune suggestioni che rimandano al suo fumetto più celebre.
In questo Hunting the Hunter, ambientato prima della morte di Kraven avvenuta nell'Ultima caccia, non compare mai Spider-Man. I protagonisti sono infatti Kraven (come è ovvio) e Kaine, un clone imperfetto di Peter Parker creato dallo Sciacallo sulle pagine di Web of Spider-Man n. 119.
Nel fumetto si assiste a uno scontro fra Kaine e Kraven, il quale percepisce la natura ragnesca del suo avversario, sebbene questi non riveli le sue origini al cacciatore.
DeMatteis prende spunto dal confronto fra i due per ritornare ai temi dell'Ultima caccia e ampliarne lo spessore epico. Nel giardino della villa di Kraven c'è una tomba destinata a Kaine che è identica a quella approntata da Kraven per Spider-Man nell'ultima caccia. In Hunting the Hunter non è però il Ragno a essere sepolto vivo, ma il cacciatore. Sono ripresi dal fumetto classico anche l'utilizzo di erbe e radici per provocare allucinazioni, la poesia di William Blake "Tyger Tyger" declinata in "Spyder Spyder" (si apprende che la passione per Blake era stata trasmessa a Kraven da un suo servitore e amico esperto del poeta inglese), e la tendenza al nichilismo di Kraven alimentata dalla perdita delle sue radici russe.
DeMatteis, accompagnato efficacemente da Max Fiumara e Emma Rios ai disegni, è riuscito ad ampliare le fondamenta della sua opera originaria creando una storia di complemento che ha il merito di porsi di fianco all'Ultima caccia senza andare a soffocare o intaccare quel grande fumetto. L'ultima caccia di Kraven resta lì, intatta nella sua bellezza, e chi ha voglia di sentirne il respiro una volta di più può rivolgersi a questo breve e interessante complemento.

Doomsday Clock

 


Doomsday Clock n. 1-12

Testi: Geoff Johns

Disegni: Gary Frank

DC Comics, 2017-2019 

Watchmen di Alan Moore e Dave Gibbons, pubblicato dalla DC Comics fra il 1986 e il 1987, ha avuto una fortuna immensa, non solo di critica e di pubblico ma anche per quanto riguarda l'influenza esercitata sui fumetti americani di supereroi usciti nei decenni a venire. Meno sviluppate sono state le opere nelle quali sono stati ripresi in modo diretto i personaggi del fumetto originale: si sono avuti un film diretto da Zack Snyder, qualche miniserie a fumetti ambientata nel mondo narrativo creato da Moore e Gibbons, e poco altro.
Il poco altro comprende due seguiti usciti quasi in contemporanea e slegati l'uno dall'altro: la serie televisiva "Watchmen" di Damon Lindelof e la miniserie a fumetti "Doomsday Clock" di Geoff Johns e Gary Frank.
Doomsday Clock non è solo un seguito diretto di Watchmen, ma addirittura un incrocio narrativo fra il mondo di Watchmen e l'Universo della DC Comics, popolato dai vari Batman e Superman. L'aggancio per dare il via a un'opera del genere è stato trovato da Geoff Johns in una frase pronunciata dal Dottor Manhattan nelle pagine finali di Watchmen: "Lascio questa galassia per una meno complicata". In Doomsday Clock viene rivelato che il Dottor Manhattan ha abbandonato l'universo complesso di Watchmen per recarsi in quel mondo meno complicato che è l'Universo DC, più semplice rispetto all'altro perché lì i superuomini agiscono secondo una moralità manichea polarizzata su bene e male, a differenza del mondo di Watchmen caratterizzato dalle sfumature di una distorta realpolitik.
Questo spunto è davvero interessante. Non è un'interpretazione filologica di Watchmen - perché è sicuro che Moore non aveva scritto quel dialogo pensando che il Dottor Manhattan sarebbe andato nell'Universo DC - tuttavia un'opera narrativa che si propone come il seguito di un'altra non ha obblighi filologici. Geoff Johns è riuscito a impiantare su Watchmen qualcosa di nuovo e inaspettato senza bisogno di nessuna forzatura, e usando addirittura un dialogo originale come pezza d'appoggio.
L'altro aspetto positivo di Doomsday Clock è il discorso metanarrativo riguardante l'esistenza di Superman all'interno dell'Universo DC. Doomsday Clock è costruito in modo che la spiegazione di questo suo ruolo sia il climax dell'opera, assieme al confronto fra Superman e il Dottor Manhattan, risolto in maniera convincente.
Dunque il fumetto di Johns e Frank ha degli elementi di notevole interesse, ed è sviluppato parzialmente in maniera brillante. Gary Frank alle matite è perfetto, e in vari momenti soggetto e sceneggiatura sono all'altezza.
Purtroppo soggetto e sceneggiatura non sono sempre all'altezza. Johns non ha la profondità di Moore e in certi momenti i dialoghi scivolano nel banale, ma è il soggetto che ha le carenze più gravi. Le sottotrame e i personaggi sono davvero tanti, e spesso Johns dà l'idea di non riuscire ad avere uno sguardo d'insieme adeguato e di gestire il tutto con equilibrio. Dal punto di vista del soggetto e della sceneggiatura questo fumetto ha delle pecche che secondo me vanno imputate anche al supervisore (che evidentemente non ha guidato Johns a dovere) e che incrinano un fumetto ambizioso che aveva le potenzialità per diventare un'opera di alto livello.